Caffè decaffeinato e disinformazione

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Il caffè è la seconda bevanda più consumata al mondo, apprezzata soprattutto per le sue proprietà energizzanti dovute alla presenza dell’alcaloide caffeina e per il suo aroma inconfondibile.

Deriva dalla macinazione dei semi di alcune specie di piante tropicali del genere Coffea e della famiglia delle Rubiacee, presente in tantissime varietà e gusti diversi, dai più aromatici a quelli più intensi.

Si stima che un quantitativo pari a circa il 10 % del caffè consumato in tutto il mondo sia decaffeinato, tuttavia, recentemente, pareri contrastanti sono emersi circa i presunti effetti negativi legati al suo consumo.

Occorre anzitutto precisare che il caffè decaffeinato non viene completamente privato del suo contenuto di caffeina, infatti esso ne contiene una quantità minima, pari a circa lo 0,1 % (2 mg) contro l’1,2-1,5 % di caffeina contenuto nella varietà arabica e il 2-4 % presente in quella robusta (80-120 mg).

Pertanto, tali dubbi riguardano non tanto il caffè in sé ed il potenziale effetto negativo del consumo di caffeina presente in quantità trascurabili, quanto piuttosto i processi di lavorazione a cui è sottoposta tale bevanda.

Tecniche di decaffeinizzazione

I primi tentativi di rimuovere la caffeina sono stati compiuti nei primi anni del Novecento dal tedesco Ludwing Roselius, il quale trattò il caffè prima con il vapore per aumentare la porosità dei chicchi e poi con solventi organici per eliminarne la caffeina.

Sulla scia di questa scoperta, i primi metodi di decaffeinizzazione si basavano proprio sull’uso di solventi organici. In particolare, tra i più impiegati risultavano il diclorometano e l’acetato di etile: dopo l’immersione in acqua dei chicchi per favorire l’aumento del loro volume, questi venivano posti a contatto con tali solventi organici per eliminare la caffeina ed al tempo stesso conservarne l’aroma.

I dubbi circa la salubrità del caffè decaffeinato sono scaturiti soprattutto dal tipo di solventi impiegati per questo metodo di lavorazione. Si tratta infatti di sostanze considerate potenzialmente nocive per la salute, nonostante le elevate temperature raggiunte durante la tostatura finale del caffè ne permettano l’evaporazione e dunque l’eliminazione dal prodotto ultimato. Inoltre, le normative fissano quantità limite per il loro utilizzo: un livello massimo di 2 parti per milione secondo le leggi europee e non superiore alle 10 parti per milione (0,001%) per gli Stati Uniti nel caffè tostato.

Nonostante ciò, per ridurre al minimo i rischi per la salute, tale trattamento è quasi del tutto caduto in disuso e nel corso del tempo sono state messe a punto tecniche alternative di estrazione della caffeina. In particolare, le principali attualmente in uso prevedono l’utilizzo delle sostanze di seguito elencate.

  • Acqua: tale metodo si basa sull’immersione dei chicchi in acqua riscaldata e sulla loro filtrazione con carboni attivi che consentono di catturare e rimuovere la caffeina. Tuttavia, il lavaggio in acqua rimuove anche altre componenti che conferiscono al caffè il suo particolare aroma, rendendo tale metodo meno complesso da eseguire, ma al tempo stesso in grado di impoverire la bevanda di alcune sue preziose caratteristiche organolettiche.
  • Anidride carbonica: tale tecnica prevede l’uso di anidride carbonica come solvente naturale per eliminare la caffeina. I chicchi di caffè vengono infatti prima trattati con il vapore per aumentarne il volume e la porosità, poi con anidride carbonica che consente l’estrazione della caffeina all’interno di un apposito cilindro ad alti livelli di pressione e temperatura. Nell’ultima fase del processo, il caffè privato della caffeina viene poi sottoposto a essicazione e tostatura.

Questo metodo è attualmente il più diffuso e sicuro, in quanto presenta il duplice vantaggio di evitare l’uso di solventi chimici e di non alterare le caratteristiche organolettiche del caffè.

Inoltre, altri timori sugli effetti negativi del caffè decaffeinato riguardano le possibili conseguenze di una sostanza chiamata acrilammide presente sia nel caffè classico che in quello decaffeinato: si tratta infatti di un composto potenzialmente dannoso che si forma durante i processi di cottura di alimenti, soprattutto amidacei, ad elevate temperature (>120°C).

Analogamente al caffè classico, anche il caffè decaffeinato subisce il processo di tostatura o torrefazione ad una temperatura di 200 °C che porta quindi allo sviluppo di tale sostanza.

L’acrilammide risulta attualmente classificata dall’Agenzia internazionale per la Ricerca sul Cancro (IARC) come “probabile cancerogeno per l’uomo” (gruppo 2A).

Tuttavia, recentemente, la stessa IARC ha stabilito che un consumo moderato di caffè (pari a circa 3 tazzine al giorno) non presenta rischi, in quanto non risulta in alcun modo associato ad un aumento del rischio di cancro possibilmente riconducibile al suo contenuto di questa sostanza.

In conclusione, le paure legate al consumo del caffè decaffeinato possono essere considerate infondate poiché i metodi estrattivi utilizzati attualmente non comportano rischi e vengono ritenuti innocui per la salute. Inoltre, gli effetti potenzialmente cancerogeni legati al consumo di caffè sono stati smentiti dalle più recenti ricerche scientifiche.

Curiosità

Il ricorso a processi industriali per estrarre la caffeina dal caffè potrebbe in futuro non essere più necessario poiché alcune varietà di piante di caffè naturalmente prive di caffeina esistono già nella zona del Madagascar, ma i chicchi sono di qualità troppo scadente e non vengono perciò utilizzati per la produzione della bevanda. 

Recentemente, alcuni ricercatori brasiliani hanno incrociato varie specie di piante di caffè originarie dell’Etiopia, creandone altre quasi completamente prive di caffeina. Tuttavia, il consumo di un caffè decaffeinato naturale è ancora un’utopia, visti i tempi di crescita molto lenti che ne limitano ad oggi l’immissione sul mercato e la fruibilità per i consumatori.